TRE BRIGANTI, UNA DAMA E UNA CANA ALLA CACCIA DEL BANDITO LASCO.
Partenza: Parlasco (LC), parcheggi adiacenti la chiesa di Sant’Antonio Abate
Arrivo: Pizzi di Parlasco, punto più elevato la cima di Dasio 1510 mt circa
Dislivelli +/-: 900+ mt circa per tutto il percorso
Difficoltà: E per il sentiero, EE sulle creste con qualche tratto attrezzato
Tipologia: Anello
Parlasco e i suoi omonimi pizzi, mai sentiti prima in vita mea a parte ora che il Balbiani me ne ha messo a conoscenza. Un omo di cultura, un letterato che una sera di Milano mi si affianca sommesso, in una taverna a me gradita.
“Lei è quello che viene chiamato il Selvatico, in arte brigante?”
“Chi lo chiede, tuono con occhi di bragia!”
“Nessuno, nessuno sono solo un pover’uomo che richiede il suo operato, viste le sue qualità…”
Dubbioso scruto l’ometto, ai miei occhi insignificante, ma poi cedo alle lusinghe ascoltando il suo racconto.
In Valsassina
sopra il piccolo comune di Parlasco, sorgono i Pizzi di Parlasco. Una lunga cresta compresa tra il valico di Porta e il Passo Agueglio e qui in paese vive il conte di Marmoro. Tal Sigifredo Falsandri che già il suo cognome, poca fiducia mi ispirava…

Tale manigoldo era chiamato “Buon Signore” dal popolo bue, perché di giorno era solito offrire “libagioni” e denari alla povera gente, ma pare che di notte “mutasse forma” divenendo efferato bandito, saccheggiando, bruciando, violentando e uccidendo coi suoi sgherri e seminando terrore per tutta la Valsassina, riappropriandosi della sua generosità!
Ma il vaso era colmo. Il popolo, da agnello si era risvegliato leone e aveva compreso che quel finto benefattore di giorno, altri non era che il temutissimo bandito Lasco. La morte della famiglia del mugnaio, avea risvegliato le coscienze!
E così il Balbiani mi pose sul tavolo una discreta borsa di monete. Il raccolto dei parlaschini e di alcuni abitanti della Valsassina, chiedendomi in ginocchio e con lacrime agl’occhi di estirpare dal mondo, il maledetto conte!
Visto il gruzzolo accettai di buon grado, promettendo al pover’uomo che nel giro di una settimana o poco meno mi sarei presentato in Valsassina, con l’aiuto di qualche amico…
Subito mandai un mio sgherro a chiamare il Pacì Paciana, noto brigante della Val Brembana, amico di vecchia data e uomo di fiducia, un vero Robin Hood.
“Digli che il Selvatico ha bisogno di lui al più presto!”, “Vai più veloce del vento e non fermarti!”.
Con me invece…
Da un po’ di giorni a Milano c’era il “Domenichino”, Domenico Tiburzi, altro nobile farabutto e caro amico che con me aveva sentito la storia del conte.
Maremmano di nascita, mi aveva raggiunto in città per affari. Un orso, forse un po’ burbero, ma di grandi principi che mal sopportava gli sfarzi e le ingiustizie del popolo.
E così partiamo sul cocchio. In nostra compagnia, una Dama deliziosa e raffinata, forte di cuore e di spirito, degna compagna di avventure passate, presenti e future (spero).
Giungiamo a Parlasco dopo soli 3 giorni. Il paese in gran fermento, tra i campi i lavori erano ripresi dopo che il popolo infuriato, due notti prima, guidati anche da un frate, tale fra Lasagna (probabilmente buongustaio?) aveva messo a ferro e fuoco la rocca di Marmoro che ancora se ne vedevano i fumi, facendo fuggire a gambe levate l’infame conte.
Ma il masnadiere era riuscito a scappare, scampando per un soffio alla cattura e alla sicura forca, rifugiandosi sui Pizzi di Parlasco, con qualche sgherro scampato alla morte.
Incomincia la caccia.


Ci prepariamo in fretta. Il nostro scopo è semplice: stanare e riportare possibilmente vivo il Lasco al suo destino. Il popolo ha ancora paura di lui e dei suoi bravacci e lassù tra i Pizzi che lui conosce bene, il compito sarà arduo!
Armati di spadini, pugnali, archibugi, pistole, petrinali e terzaroli percorriamo la via tagliafuoco, verso la rocca fumante (verso sx appena sopra l’abitato di Parlasco).
Attenti ad ogni rumore e guardinghi ci spingiamo fino al vecchio cartello che ci indica la salita al valico di Porta, semi nascosto un piccolo sentiero s’impenna verso i Pizzi.

Lo percorriamo in fila indiana. La cana in testa a seguir tracce, la Dama in centro e il pesante Tiburzi a chiuder gruppo tonante di lodi, qui irripetibili.
Sinuoso il sentiero s’inerpica nel bosco. Il fogliame ricopre gran parte del tracciato, in fondo siamo in pieno autunno, e nasconde insidie sotto i calzari, radici e roccette.

Il piede ricopre quasi interamente “la traccia” (in realtà ben evidente, ma non troppo larga!) e lenti proseguiamo tra salti di roccia e alcune faggete che si stagliano durante il percorso che raramente spiana, dando respiro al povero Tiburzi!
Ci ritroviamo ad un certo punto in mezzo a una faggeta abbastanza larga, qui il sentiero da un po’ di respiro, ma tra gli alberi due furfanti sono appostati con archibugio in mano…


Sembrano immobili.
Il Paciana si avvicina di soppiatto, non sembrano essersi accorti di noi e il motivo è molto semplice: i due farabutti son già “passati a miglior vita”. Probabilmente feriti la notte dell’assalto alla rocca e non riuscendo ad andare oltre per proteggere il bandito, hanno pensato bene di farli fuori e posizionarli a quel modo per rallentare l’eventuale inseguimento e magari facendo sprecare qualche colpo.
Ma il Paciana è scaltro e non si fa certo ingannare da queste cose. Siamo ormai vicini alle vecchie miniere di manganese, ottimo punto dove il Lasco si può nascondere e quindi procediamo con molta cautela e il più silenti possibile.


Armi spianate giungiamo quasi alla prima miniera, quando ci accoglie una scarica di archibugi. Il terreno qui non è favorevole e per miracolo scampiamo al fuoco nemico, il Tiburzi “rotola giù” dal pendio scosceso!
Convinti di averlo perso,
di colpo l’omone lancia verso le miniere una “bombetta”, creando grande spavento in tutti noi, gran rumore e una tremenda nuvola di fumo!
Approfittando della confusione creata, corriamo verso la miniera, compiendo il nostro dovere e passando a fil di spada gli sgherri del bandito Lasco.
Le tracce della sua presenza sono evidenti all’interno della miniera, ma di lui ancora nulla. Il Paciana, grande segugio, scorge diverse orme che si allontanano dalle miniere in due direzioni ed è la Dama a metterci nella giusta direzione. Evitiamo un vecchio sentiero che a “mezza costa” (forse una vecchia traccia ora non più esistente) ci avrebbe portati su una falsa pista e proseguiamo in direzione del valico (salita a dx appena dopo le miniere), da dove arriva un gran vociare.
Qui il sentiero si fa più morbido ed arriviamo alla “Porta” abbastanza in fretta. Il panorama muta radicalmente. Se fin qui si hanno delle bellissime infilate su tutta la Valsassina, svalicando si hanno vedute su Cainallo, Esino Lario, fino al lago di Como, con le Grigne a farla da padrona ponendo lo sguardo verso la pianura.

Si sente odor di polvere da sparo e altri due sgherri del Lasco son periti. Lo stesso bandito, pare sia stato ferito ad una gamba, ma il suo terrore attanaglia la popolazione di Esino che non si fida a inseguirlo, tra I Pizzi di Parlasco.
Ormai il bandito è circondato. Da Cainallo a Cortenova, da Parlasco a Ballabio, da Varenna a Bellano il popolo si è mosso a circondare il bandito che a questo punto non ha più scampo!
La cana fiuta la traccia.
Al valico di Porta vira veloce a dx incominciando la via per le creste, parte più “difficile del Nostro percorso”, in lontananza verso la cima di Daas un figuro zoppo tenta inutilmente la via della salvezza…
Gli facciamo sprecare i colpi, prima di raggiungerlo in cima alla croce, ultimo suo grido d’animale, gonfio di imprecazioni nel guardare la sua rocca fumante. Ci pensa il Tiburzi a dargli un assaggio di quello che gli capiterà in seguito, con due sonori slavadenti che quasi lo fanno volare giù dal precipizio.

E’ molto curiosa la vista che si apre ai nostri occhi: da un lato i “burrascosi strapiombi, verso la Valsassina, dall’altro prativi ben più dolci.





